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La tutela del marchio

Con la registrazione del marchio il titolare acquista una serie di diritti esclusivi sull’utilizzo del segno, ai quali corrisponde un ampio ventaglio di strumenti e azioni per assicurarne la effettiva tutela a seconda delle diverse tipologie di attacco.

In primo luogo, il titolare di marchi o diritti anteriori potrà attivare la procedura di opposizione alla registrazione di un nuovo marchio, prevista dagli articoli 177 e seguenti del Codice della proprietà industriale. L’opposizione è un procedimento amministrativo con cui il titolare di un diritto anteriore chiede all’Ufficio preposto il rigetto della domanda di registrazione del marchio successivo che si ritiene lesivo, depositata da un terzo.

L’opposizione deve essere depositata entro il termine perentorio di tre mesi dalla pubblicazione della domanda di registrazione del marchio successivo. Scaduto tale termine, se non è stato raggiunto un accordo in via stragiudiziale, il titolare del marchio anteriore ha a disposizione una serie di azioni legali per evitare il protrarsi dell’attività lesiva.

La tutela del marchio in giudizio: inibitoria e altre azioni legali

In primo luogo, il titolare di un marchio registrato potrà reagire in via giudiziaria nei confronti di atti di contraffazione o di concorrenza sleale ai danni del proprio marchio.

 

La concorrenza sleale

Il titolare di un marchio registrato può essere tutelato rispetto all’uso da parte di un imprenditore concorrente di segni distintivi identici o simili al proprio marchio mediante un’azione di concorrenza sleale.

Ai sensi dell’art. 2598 c.c., gli atti di concorrenza sleale possono essere raggruppati in tre categorie:

  1. atti di confusione, consistenti nell’uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con quelli legittimamente usati da altri, o nel compimento con qualsiasi altro mezzo di atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;

  2. atti di denigrazione e di appropriazione di pregi, consistenti, i primi, nella diffusione di notizie sui prodotti e sull’attività di un concorrente idonee a determinarne il discredito, i secondi, nell’appropriarsi dei pregi dei prodotti e dell’impresa di un concorrente;

  3. altri atti che si avvalgano di mezzi contrari alla correttezza professionale.

In questa sede, la disciplina dell’art. 2598 c.c. – da mettere in relazione all’art. 10-bis della Convenzione d’Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, volto ad assicurare una protezione effettiva contro la concorrenza sleale ai cittadini dei Paesi facenti parte dell’Unione – rileva con riferimento alla violazione dei segni distintivi, tra cui emergono gli atti di confusione, di cui la giurisprudenza si è ampiamente occupata, statuendo peraltro che la domanda di concorrenza sleale proposta ai sensi dell’articolo in commento può essere accolta anche qualora sia stata esercitata la contestuale azione di contraffazione del marchio, a condizione che sia provato che sono state realizzate altre tipologie di atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività altrui.

Va precisato, inoltre, che la confondibilità di un prodotto e/o di un servizio e/o di un segno distintivo deve essere valutata in relazione alle conseguenze che un atto di concorrenza sleale può avere sul consumatore medio, ovvero sul consumatore dotato di un’ordinaria diligenza, e che effettua le proprie scelte prescindendo da un attento esame di comparazione tra prodotti e/o servizi.

Per quanto concerne il danno da concorrenza sleale, l’onere della prova grava naturalmente in capo al soggetto che denuncia l’attività di concorrenza sleale. Tuttavia, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, non è necessario provare che il danno si sia effettivamente realizzato, ma è sufficiente dimostrare la semplice idoneità della condotta di un concorrente ad arrecare un pregiudizio all’altro.

Oltre al risarcimento del danno, attraverso l’azione di concorrenza sleale può essere ottenuta l’inibitoria all’uso illegittimo del marchio da parte dell’impresa concorrente, nonché la pubblicazione della sentenza.

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L’azione di contraffazione

Ai sensi dell’art. 2569, comma 1, c.c. “Chi ha registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi ha diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti e servizi per i quali è stato registrato”. Si ha contraffazione tutte le volte in cui si realizza la violazione dei diritti derivanti dal marchio attraverso l’utilizzo illegittimo di un marchio altrui o di un segno uguale o simile da parte di un terzo non autorizzato, col risultato di creare confusione (anche potenziale) nel consumatore.

La ratio dell’azione di contraffazione affonda le proprie radici nel requisito essenziale del marchio, vale a dire nella sua capacita distintiva, che incide sulla valutazione della sua confondibilità coi marchi posteriori ai fini del giudizio di contraffazione. Anche l’azione di contraffazione, dunque, come quella di concorrenza sleale, è preordinata ad impedire che si ingeneri nel pubblico una confusione dei prodotti e delle attività di impresa e ciò fa sì che la tutela derivante da una delle due azioni sia assorbita nell’altra.

Più precisamente, come chiarito dalla Corte di Cassazione, l’azione di contraffazione del marchio d’impresa ha natura reale e tutela il diritto assoluto all’uso esclusivo del segno come bene autonomo, sulla base del riscontro della confondibilità dei marchi, mentre prescinde dall’accertamento della effettiva confondibilità tra prodotti e delle concrete modalità di uso del segno, accertamento riservato, invece, al giudizio di concorrenza sleale.

Data la natura di illecito extracontrattuale della contraffazione, la disciplina cui fare riferimento è quella prevista dagli articoli 2043 e ss. del codice civile. Per quanto concerne i presupposti soggettivi, la contraffazione del marchio si verifica sia in caso di dolo, che in caso di colpa. La giurisprudenza, invece, è sempre stata costante nell’escludere la rilevanza della buona fede ai fini della esclusione della contraffazione: il difetto di intenzione di ledere i marchi contraffatti, dunque, non rileva se vi è stata l’obiettiva contraffazione di tali marchi.

Per quanto concerne il risarcimento del danno, un primo orientamento giurisprudenziale afferma che, nel procedimento di contraffazione, ai fini dell’accoglimento della domanda generica di risarcimento del danno non è necessario il concreto accertamento del danno stesso, ma è sufficiente che sia accertata la contraffazione, la quale ha un’implicita potenzialità dannosa. Altro orientamento giurisprudenziale, invece, ritiene che la prova della effettiva sussistenza del danno debba essere comunque fornita.

L’azione a tutela del marchio può essere anche esperita in via cautelare d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., anticipando in questo modo il giudizio per ottenere il risarcimento del danno causato dall’illecito utilizzo del marchio altrui e ottenendo che il Giudice ordini all’impresa concorrente di cessare immediatamente l’uso di un marchio che si ritiene illegittimo, qualora sussistano i presupposti del fumus boni juris e del periculum in mora.

L’azione di contraffazione può essere, poi, preceduta dalle misure cautelari del sequestro e dell’inibitoria, qualora siano presenti i presupposti tipici di ogni misura cautelare, vale a dire il periculum in mora e il fumus boni iuris. E’ inoltre possibile chiedere al Giudice, ai sensi dell’art. 131 c.p.i., di determinare una somma dovuta al titolare del marchio per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento cautelare di cessazione dell’uso del marchio, e di pubblicare la pronuncia su quotidiani o siti internet, ai sensi dell’art. 126 c.p.i..

 

Descrizione e sequestro

Per la tutela giudiziale del marchio è possibile agire anche in via cautelare, ossia attivando delle procedure particolarmente agili per richiedere un intervento immediato all’Autorità Giudiziaria.

In particolare, gli artt. 128, 129, 130 e 131 c.p.i. disciplinano misure cautelari che sono espressamente previste nel nostro ordinamento soltanto nella materia della proprietà industriale, oltre che in quella della proprietà stricto sensu intellettuale: si tratta, nel caso delle prime due norme, delle misure della descrizione e del sequestro, nel caso dell’art. 131, di quella dell’inibitoria.

La descrizione è quel provvedimento con cui si dispone un accertamento “ufficiale” delle caratteristiche dei prodotti costituenti la violazione di un diritto industriale, nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata violazione. Tale misura cautelare persegue, dunque, la finalità di fornire non tanto la “cautela” di un diritto minacciato, quanto la “prova” anticipata della sua violazione, che sarà oggetto di valutazione nel successivo giudizio di merito.

Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il giudice concede la misura della descrizione inaudita altera parte, senza cioè fissare l’udienza di comparizione delle parti che rischierebbe di vanificare del tutto l’utilità del provvedimento concesso, posto che l’unico modo efficace di raccolta della prova della violazione si ottiene grazie ad un intervento “a sorpresa”.

L’art. 129 del c.p.i. prevede, poi, che il titolare di un diritto di proprietà industriale può chiedere il sequestro di alcuni o di tutti gli oggetti costituenti la violazione di tale diritto, nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei medesimi e degli elementi di prova concernenti la denunciata violazione. Il procedimento di sequestro è disciplinato dalle norme del codice di procedura civile, concernenti i procedimenti cautelari.

La descrizione ed il sequestro vengono eseguiti a mezzo di ufficiale giudiziario con l’assistenza, ove occorra, di uno o più periti ed anche con l’impiego di mezzi tecnici di accertamento, fotografici o di altra natura. Alle operazioni possono essere autorizzati ad assistere anche gli interessati, assistiti da tecnici di loro fiducia.

La descrizione ed il sequestro, una volta concessi, possono essere estesi a tutti gli elementi di prova concernenti la denunciata violazione e la sua entità, ivi compresa dunque la documentazione tecnica e contabile (quali le fatture commerciali e gli ordini) per acquisire prove non solo sull’an della contraffazione, ma anche sulla sua portata, con individuazione di fornitori, distributori, punti vendita, ecc. Le Sezioni Specializzate hanno affermato che per “elementi di prova concernenti la denunciata violazione” si intende qualsiasi elemento documentale che sia in grado di far apprezzare l’estensione del fenomeno di contraffazione sul piano quantitativo.

Va precisato che la concessione delle misure cautelari in oggetto presuppone la sussistenza, oltre che del fumus boni iuris, anche del periculum in mora, non rilevando, come precisato dalla giurisprudenza, la circostanza che le attuali norme del c.p.i. non facciano riferimento al requisito della “eccezionale urgenza” come criterio generale.

 

L’inibitoria

Ai sensi dell’art. 131 c.p.i., il titolare dei diritti sul marchio registrato o in corso di registrazione ha la facoltà di chiedere:

  1. che sia disposta l’inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell’uso di quanto costituisce contraffazione del marchio, e

  2. l’ordine di ritiro dal commercio delle medesime cose nei confronti di chi ne sia proprietario o ne abbia comunque la disponibilità.

Si tratta, dunque, di una misura cautelare idonea ad anticipare gli effetti della decisione di merito

La norma rinvia alla applicazione delle norme del codice di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari. Tale rinvio ha fatto sì che l’inibitoria sia esperibile sia ante causam, che in corso di causa: in tale ultimo caso la competenza è del giudice istruttore.

Degno di nota è il fatto che con la pronuncia dell’inibitoria il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.

Peraltro, la concessione di un provvedimento di inibitoria in seguito alla descrizione del marchio contraffatto, rende superflua la richiesta di un provvedimento di sequestro, in quanto l’inibitoria è già di per sé sufficiente ad evitare ogni ulteriore pregiudizio alla parte lesa.

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